sabato 8 giugno 2019

La controra



La controra è il regno del sole. Qualcuno in maniera riduttiva ritiene che essa rappresenti le ore più calde delle giornate estive nel Mezzogiorno d'Italia. In realtà la controra è un mito senza spazio né tempo.

Per parecchi di quelli della mia età attiene spesso a un divieto. Ragazzini in vacanza da impegni scolastici, eravamo desiderosi di giocare per le strade polverose, assolate dal calore bianco di un sole implacabile, quasi a perpendicolo. Era per noi l'ora più propizia, per noi picareschi guaglioni, padroni unici e ultimi della strada in cui siamo cresciuti. Eppure tanto spesso ci veniva opposto un rifiuto alla richiesta di uscire, giocare e godere. “È controra” - ci veniva detto. Questa frase assumeva dunque la perentorietà dell'ineluttabile destino alla sospensione di ogni attività in quelle ore dalla temperatura impossibile. Era pronunciata da tutti gli adulti con toni che non ammettevano repliche, al punto che i più fantasiosi di noi immaginavano un mostro che si aggirava per le strade di controra a mangiare i bambini. 

In realtà non c'era niente di mostruoso. Si sa che i bambini sono curiosi e, parecchi di noi, a onta di ogni ancestrale timore o abitudine, letteralmente scappavano di casa e assistevano alla gloria dispiegata del dio sole. La luce accecante donava un nuovo contorno alle cose e alle case. Lo spettacolo della vegetazione in rigoglio, illuminata in ogni minimo particolare, dava effetti tridimensionali e profondità stereoscopiche da videorama 3D a ogni paesaggio.

Fu in chissà quale controra, appoggiato di schiena a non so quale muro scalcinato e arroventato, la rivelazione che ogni pensiero, buono o cattivo, scompare con la faccia al sole in un bianco accecante, secca e va via, lasciandoti come un minerale fuso con il resto del mondo, inerte come una pietra, felice e inconsapevole come un oggetto ai primordi dell'universo. 

A ripensarci non riesco a capire come mi possa essere alzato di lì. Se c'è mai stato un momento in cui mi sono sentito in sintonia con l'universo fu in quegli istanti di arrendevole abbandono all'ordine delle cose, di cui la memoria dilata la durata. Talvolta avverto il rammarico di non essermi fuso nella calce bianca rattoppata della parete, gonfia di umidità, quale metafora delle nostre vite rappezzate e raccogliticce... Andò via presto anche il bianco della calce raccattata dalla maglietta.

Ma la controra non fu solo un'esperienza panica. Alla controra è legato il sudore e la felicità. Le interminabili partite di calcio, masochistiche esperienze in cui con la mia squadra credo di non essere mai riuscito a vincere. In compenso ho cementato amicizie durate qualche decennio, la qual cosa, in tempi instabili e imprevedibili come i nostri, è molto di più di quanto si possa aspettarci. La vita, la fortuna avversa o propizia, a seconda dei casi, ha provveduto a dividerci. 

Resta un luogo della memoria: le mete. Chiamavamo così, mutuando da un termine dialettale che designa i cumuli di sabbia giallastra sbiadita da costruzione, il posto spianato in cui costruivano dei condomini, caratterizzato da mucchi di sabbia usata dai cantieri. Il posto stesso era di un colore giallastro sbiadito, accentuato dalla luce spietata del sole. Era facile per noi inventare un campo di calcio; recuperavamo mattoni da qualche cantiere e con questi improvvisavamo dei simulacri di pali di porta. Facevamo a meno della traversa e spesso si misuravano a occhio i gol. Strano a dirsi non ricordo di troppe discussioni. Le partite erano improntate a un senso di lealtà che in realtà nessuno di noi ragazzini sciamanti e felici ha poi mai riscontrato in seguito, meno che meno nelle gare dei nostri nazionali pedatori.

Ma la controra riporta anche a fiumi di alcol e birra a diluvio di felici ubriaconi, che si disputavano all'ombra degli alberi della pineta, che allora era un boschetto, il gelido nettare giallo, che consolava dalla calura e placava l'arsura e gli affanni, durante epiche passatelle. Era uno spettacolo assistere ai lazzi e ai mottetti, ai corrosivi adagi sarcastici di questi uomini, per lo più con pancioni a forma di mappamondo, capaci di bere ettolitri di birra. Il dio Bacco, evidentemente riconoscente di tanta adorazione, è stato con loro benevolo. Parecchi di loro sono ancora in vita in tarda età, felici e beati. Qualcuno immagina che possano seppellire ancora molta altra gente.

La controra, insomma, è stata una palestra di vita. E di controra ci voglio morire. Che mi lascino vecchio appassire al sole della controra, come una foglia seccare, sgretolarmi e disperdermi al vento, contento, alla luce e alle vampe del sole d'estate.

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