sabato 3 aprile 2021

Porco Giuda?

 

 

"Quell'anima là sù c'ha maggior pena",
disse 'l maestro, "è Giuda Scariotto,
che 'l capo ha dentro e fuor le gambe mena…"



Contestualizziamo e facciamo finta che tutto sia vero. Ma che vogliono da Giuda? Avrebbe tradito il suo Maestro?

Pensate a un qualsiasi insegnante moderno. Come minimo gli direbbero che non è stato capace di formare lo studente, e non sarebbe nemmeno un dio.

Ma vediamo, qual è la sua colpa? Avere accettato trenta denari per un bacio al suo Rabbi, come se ce ne fosse stato bisogno per riconoscerlo.

Ricontestualizziamo e prendiamo per buone le verità rivelate. Ma davvero uno che moltiplica pani e pesci, trasforma l’acqua in vino, cammina sulle acque e resuscita morti, anche se non all’epoca di Internet, avrebbe avuto bisogno di un bacio da parte di un discepolo infedele per essere riconosciuto? Ammettiamolo: la storia fa acqua da tutte le parti e non c’è nessuno che la muti in vino.

Ma concediamo che il povero Scariotto sia l’infame che tutti dicono e che viene divorato dalla faccia centrale di Satana in persona, non dovrebbe questi, per contrasto e dispetto, onorarlo, per avere tradito la terza parte del suo ex principale? E se non lo fa, dato che Lucifero obbedisce alla legge suprema, perché non pensare che anche il povero discendente di Kerioth non abbia potuto altrettanto esimersi dal compiere il fato per lui disegnato? Senza Giuda non v’è passione, senza passione non c’è redenzione. No Judas, no redemption, friends!

Ma poi, chi mai, per un attimo, un giorno, un’ora non ha tradito se stesso e quello in cui credeva, per opportunismo, debolezza o pigrizia? Altro che dare un bacio.

Insomma, la storia è un po’ più sfaccettata di come la raccontano. Per conto mio, il cristianesimo predica la misericordia, e io concedo tutta la mia a Giuda, mio fratello.

sabato 6 febbraio 2021

Ancora pensiero... shakerato

 

Da molti anni seguo Galli Della Loggia. Leggere i suoi articoli mi migliora sempre l'umore, ma non per i motivi o i fini che presumibilmente egli si prefigge.


https://www.corriere.it/editoriali/21_febbraio_04/nostra-classe-dirigentee-sapere-che-serve-politica-aaae0f36-6726-11eb-8ada-57b39586265a.shtml


Il Nostro si inserisce in un solco che vanta illustrissimi predecessori. Alcuni di questi si possono far risalire (fatte ovviamente le debite proporzioni, come tra i ministri di ora e quelli di antan - lo dico con molta ironia, ovviamente) alle invettive della letteratura greca e latina contro la decadenza dei costumi e la scelleratezza dei giovani di oggi (di allora). Tutto rimanda alla solita età dell'oro dove il latte scorreva nei fiumi e l'agnello pascolava col lupo.

Peccato che basti davvero solo studiare un po' dei libri di storia evocati, per capire che così non è e che, la concezione un tantino semplicistica sottesa a questa visione, condita da una discreta dose di disprezzo dei media moderni, scoppi, come un palloncino di bubble gum sapientemente gonfiato da uno di quegli inetti dei giovani d'oggi, a una prima analisi men che approfondita.

Dunque mi diverto molto quando sento dei giovani (per me) quarantenni/cinquantenni dire di quanto loro siano migliori, più in gamba, svegli e fortunati dei millennials "porelli".

Non riesco a rimpiangere la prima Repubblica, né la seconda (ammesso che ci sia mai stata), né, meno che mai, una riforma, ascritta spesso a Gentile, ma stravolta nei fatti da, non ricordo quale, fascistissimo ministro.

Ma per non allargare troppo il discorso e rimanere al de quo, mi pare che l'articolo sia tutta una premessa per la conclusione: Mario Draghi (fino a nuovo avviso, direbbe Zygmunt Bauman) è la panacea di tutti i mali perché coltissimo superdirettore, privatizzatore, jobs act ispiratore etc...

Al Nostro però sembra sfuggire una cosa in contraddizione con i suoi stessi assunti. Draghi è un tecnico, che più tecnico non si può.

Due ultime cose, e chiudo. Direi che per qualsiasi essere umano è meglio studiare la Filosofia, la Storia etc. Direi che è meglio STUDIARE. Punto.

Infine ritengo che uno dei mali della nostra bella Italia sia quello della declassificazione a technè di ogni forma di conoscenza scientifica e tecnologica. Non lo scopro certo io, ma nel nostro Paese, "per stupire mezz'ora basta un libro di storia", poi ci si può candidamente confessare ignoranti a bestia (toscanismo) su argomenti anche basilari di scienza. I nostri pseudointellettuali spesso scordano il monito all'ingresso dell'Accademia e magari non hanno mai letto La Repubblica (non sto parlando del giornale). Dichiaro pubblicamente, però, che non sono affatto un fan sfegatato del Filosofo delle idee. Non vorrei suscitare equivoci.


mercoledì 23 dicembre 2020

Ma a Natale siamo tutti più buoni?

Talvolta, nel periodo natalizio, la mente del vostro Pukowski ritorna indietro a tanto tempo fa, in un capoluogo pugliese di regione lontano lontano, dove il nostro eroe era di stanza nell'Areonautica Militare e tornava alla caserma da casa della sua fidanzata di allora.

Vuoi per i postumi dell'incontro, vuoi  per l'aria natalizia che aleggiava come sempre nella settimana prima del Santo Natale, il nostro procedeva spedito, felice e baldanzoso per le strade della città. Il suo umore non era disturbato nemmeno dai soliti crocchi di raffinati signori che, agli angoli delle strade, tra un rutto e un altro si disputavano la birra al tocco, o dio solo sa in che modo. Questi personaggi dai modi urbani, spesso vestiti di tute in acetato e scarpe da ginnastica similMecap, con la casacca aperta fino all'ombelico per mettere in mostra un gigantesco medaglione in oro massiccio, si dedicavano a quella amena occupazione dopo avere smontato dalle loro occupazioni. Bisogna capirli: è frustrante tenere un banchetto di sigarette di contrabbando con la Finanza sempre in agguato o fare il parcheggiatore abusivo con il rischio di beccare qualcuno che non conosci e che, invece di darti il tuo giusto obolo, potrebbe decidere di ricoprirti di "mazzate", come in quelle contrade al protagonista della nostra "narrasione" (è una citazione di un illustre personaggio pugliese) era capitato di vedere. 

Insomma un uomo, dopo il proprio faticoso lavoro, deve trovare uno sfogo. 

Questi crocchi facevano parte del folklore locale e la massima parte dei cittadini, composta da onesti uomini e donne, non ci faceva più caso.

Ora, nei pressi di uno di questi gentili consessi si aggirava un tris di giovani della stessa età di Andrea G.. Uno di questi, al passare del vostro Pukowski, che portava a tracolla il borsone di ordinanza, sferrava un calcio allo stesso bagaglio con fare indifferente. Andrea, con fare altrettanto indifferente e con sprezzo del pericolo dovuto ai suoi venticinque anni (un trentennio fa, insomma!), rivolse un'esortazione di moto a luogo al calciatore e ai suoi antenati quasi fino ad Eva e Adamo, non senza avergli espresso un parere sui gusti sessuali della parte femminile della famiglia. Sì, lo so che è stato un comportamento in linea con i modi cortesi della persona tanto gentile con cui avevo avuto la ventura di interagire, e che era assai pericoloso. Vallo a dire alla genetica e al carattere poco conciliante di ex ragazzo di strada della Capitanata Nord! Peraltro le frasi di cui sopra furono espresse nel soave dialetto sincopato della zona pukowskiana Natale (natale?) con tutti gli eufonici suoni gutturali, mutuati dal retaggio ancestrale dei saraceni di Federico II. Naturalmente il messaggio fu recepito, nonostante la diversità della lingua madre dei viandanti. 

Per Pukowski la faccenda poteva chiudersi lì e, per evitare di avere ulteriori scambi di battute, proseguiva impettito con i suoi 78 Kg e i 185 cm di statura. Nessuno dei tre giovanotti in parola era di una stazza paragonabile a quella del nostro milite, il quale portava con sé un robusto ombrello di una volta (non quelli leggeri di adesso), chiuso accuratamente visto che già da un po' non pioveva più. 

Evidentemente tranquillizzati dal numero eccedente l'unità, i tre ragazzi si dirigevano con una certa fretta verso Andrea G. (sono sempre io - ogni tanto uso l'io pseudonimo).

Lo stesso volgendosi indietro, allertato dallo scalpiccio, vedeva la scena seguente. Il baldo calciatore di borsoni si dirigeva con una certa velocità verso di lui, seguito a qualche passo dai due sodali. Egli avrebbe voluto fermarsi e cercare di essere assertivo, ma aveva una certa fretta di rientrare in orario per il contrappello in caserma, così in un baleno dal cervelletto partì l'ordine (Pukowski nemmeno sotto tortura giurerebbe di essere stato coinvolto nella decisione) di animare il braccio destro, libero dall'ombrello, e con la mano opportunamente chiusa, di appropriata energia cinetica e dirigerlo verso il viso del calciatore, sorpreso dal subitaneo movimento. Si tenga a mente che se l'ordine parte dal settore primordiale del cervello (il cervelletto e l'epitalamo, se non ricordo male) il movimento è rapidissimo. Se poi carichi sapientemente il peso del corpo nel braccio, l'energia cinetica del colpo è notevole. Non c'è bisogno di essere Newton per capire che, se l'obbiettivo è in corsa, all'impatto sono dolori! 

Andrea G. ha solo un ricordo confuso di quei momenti concitati. Ricorda un bel volo all'indietro del prode pedatore. Rammenta un dolore alla parte sinistra del torace, forse dovuto a un calcio di un mancino portatosi prudentemente alle spalle del nostro milite, per colpire meglio con il suo piede preferito. Gli è che, però, il nostro eroe aveva alla mano sinistra il suo ombrello massiccio e, con il manico di legno di quello, con movimento fulmineo a semicerchio da destra a sinistra, colpiva al volto in rapida successione il prudente calciatore. Lo so che non è conforme al credo cristiano di porgere l'altra parte del costato, ma Pukowski è ateo da lunga data e nel frangente de quo non ritenne di andare troppo per il sottile. Chiunque di noi che avrebbe fatto? Mi sembra un caso di legittima difesa. In realtà un sottile disagio coglie Pukowski a questo punto. Il terzo dei tre forse non era un figlio di mulo calciatore come i due precedenti, visto che aveva tirato fuori due occhi sgranati e sollevato le mani a proteggersi dai colpi che prevedeva arrivare. Infatti il nostro si dirigeva verso il terzo aggressore con fare non proprio conciliante, siccome gli altri due si erano ridotti a più miti consigli e avevano preferito riparare velocemente verso uno dei crocchi di bevitori di birra. Insomma anche al terzo, momentaneamente bloccato dal panico, toccò un'ombrellata (o due?) dalla parte della canna, dato che il manico si era sfasciato. Lo dico a parziale discolpa del nostro blogger.

Anche il terzo però si scrollò presto e si volse alla fuga. Tutto questo, voi penserete, ci incastra poco con lo spirito natalizio. Aspettate di sentire il resto. Ritornato presto in sé il nostro milite ritenne prudente accelerare, anche se di poco, il passo, perché a un centinaio di metri c'era il gruppo di stanchi cittadini in espletamento del loro passatempo preferito, verso il quale si erano rifugiati i nostri pifferi di montagna che andarono per suonare e rimasero suonati.

La cosa buffa e perfino inaspettata è che con la coda dell'occhio il nostro blogger preferito si accorse di essere seguito con fare dissimulato da un gruppo consistente di individui che egli stimò tra i quindici e i venti. Ora non ci vuole una laurea in Matematica (che peraltro Andrea possiede) per fare due conti. Anche solo un'assai ottimistica previsione di due calci e due pugni a testa fa trenta-quaranta pugni e calci da assorbire. Abbastanza per ammazzarti di botte. Ma forse i tre coraggiosi magari volevano solo discutere in maniera assertiva con chi vi scrive e, non essendo forse troppo attrezzati in retorica, avevano deciso di portarsi gli amici più capaci, i quali dovevano avere la lingua sciolta dall'alcol. In fatto di favella nessuno batte un ubriaco con la sbronza allegra. È un fatto risaputo.

Ma uno dei  motti di Andrea G. Pukowski è che il pessimista va incontro solo a buone sorprese, sicché appena svoltato un angolo il nostro si dette a una fuga precipitosa con svicolamenti perpendicolari a ogni isolato, fortunatamente non troppo distanziati, tenendo la barra dritta verso la stazione. Dopo un bel po' di fuggire (notoriamente è molto diverso dal correre) notai un fenomeno pressoché unico. Un portone di un condominio lasciato aperto a quell'ora!. Mi ci catapultai dentro e mi ci chiusi, facendo per nascondermi nel sottoscala. Un tizio, forse quello che aveva lasciato aperto perché stava per uscire ed era stato impedito da una qualche forma di provvidenza che aiuta gli incoscienti, mi apostrofò urlandomi di uscire immediatamente o altrimenti avrebbe chiamato la polizia. Allora Andrea G. lo scongiurò di farlo perché, gli disse, era inseguito da una torma di papponi inferociti - dimenticavo di dirvi che spesso era uno dei mestieri esercitati dai signori dei crocchi dei bevitori di birra. L'effetto del discorso, se non fosse che Pukowski era terrorizzato, sarebbe stato di dirompente comicità. L'attempato signore della mia attuale età saltò su per i gradini, percorrendoli quattro a quattro, con una sfilza di improperi, bestemmie e imprecazioni nella meravigliosa lingua locale. Di solito sono abbastanza attento a queste portentose espressioni linguistiche, ma è facile intuire che non ci badai troppo. Con un certo sollievo, devo dire, percepii un abbastanza conciliante, data la situazione, -Se ne vada al più presto!- 

Meno male che c'era lo spirito natalizio in giro. Il mio più presto durò una mezz'ora. 

Uscii dal portone come un personaggio dei fumetti facendo capolino e guatando a destra e a sinistra. Con passo celerissimo mi diressi alla stazione. Ci arrivai tardissimo. Ero all'aereoporto militare di quella ridente città in cui mi sono anche laureato. Dovetti prendere un treno notturno, allora detto  locale, e ci arrivai a un'ora improba dopo essermi messo in attesa davanti al comando della PolFer. Il pessimista va incontro sempre a buone sorprese, ricordate!

Se pensate che i guai fossero finiti lì, vi devo deludere! Quando il Pukowski suonò al campanello del cancello, dopo una ventina di trilli gli venne a rispondere al citofono un incazzatissimo piantone sbattuto giù dal letto. Dopo un lungo questionare condito da parolacce in dialetto bitontino e della Capitanata del Nord, il piantone "de Vitaunt" (di Bitonto) mi aprì. Fummo costretti a svegliare il sottufficiale di giornata (di Palo del Colle) per evitare il mio mancato rientro da libera uscita. Le conseguenze non sarebbero state piacevoli. Il sergente maggiore, dopo avermi classificato in maniera qui irripetibile in termini non proprio lusinghieri e riferentesi alla materia di cui, a suo dire, ero costituito, nonché alle pratiche sessuali a cui, secondo lui, ero dedito, mi chiese spiegazioni.

Pukowski si sentì subito incoraggiato, perché il turpiloquio con cui era stato accolto, tradotto dal casermese, equivaleva quasi a un affettuoso saluto. Era assai simpatico in caserma. Quando avrà il tempo vi racconterà qualcosa dei suoi trecentossesantasei (366! Avviso: non è un fattoriale. Solo un punto esclamativo. Pure nell'anno bisestile il nostro eroe è incocciato) giorni di leva. Per tornare a bomba a noi, Pukowski mise insieme un racconto più o meno come il presente, causando lacrime agli occhi dal ridere sia al sottufficiale che al commilitone piantone. Andrea avrebbe voluto vedere loro al posto suo!

Affidandosi allo spirito natalizio incombente - siamo tutti più buoni, d'altra parte la "narrasione" lo confermava - e alle prove della colluttazione costituite dall'ombrello distrutto di cui Pukowski non si privò (il pessimista etc... Poteva servire ancora!) e dal generoso livido che adornava la parte sinistra del torace, il nostro riuscì a evitare il mancato rientro. Anzi, divertito dalla vicenda il valoroso sergente maggiore segnò la mia presenza al contrappello, evitandomi ogni tipo di guai.

Non c'è niente da fare: che bello è l'Avvento con il suo spirito natalizio!

giovedì 12 dicembre 2019

L'insospettabile materiale dell'essere. Ovvero: riflessioni di un gabinetto filosofico.


Forse perché seduto sul water a sottolineare una paginetta di commento alla Critica della ragion pratica di Kant, il mio animo, solitamente poco incline alle fini speculazioni filosofiche, si è levato a considerare domande insolitamente profonde.

Tradendo me stesso e il pensiero shakerato, mi sono, dal passo che andavo leggendo, sentito stimolato alla ricerca di quel che accomuna il genere umano intero.

Mi son detto che dovevo andare alla ricerca di un atto, una materia che superasse la barriera tra il potente - nelle tre declinazioni del papa, del re e di chi non ha niente - e l'uomo comune o l'universo intero dei senzienti.

Data la varietà dei soggetti/del soggetto coinvolti/o ho ritenuto di cercare qualcosa di unico che producesse una gamma intera di sensazioni. Ho pensato, arrischiandomi sempre più nell'acrobatico e pericoloso esercizio, che dovesse essere qualcosa che producesse in alcuni sollazzo, in altri imbarazzo. A chi procurasse piacere, ad altri dolore. Per qualcuno poteva essere un fastidio da evadere in fretta, per un altro qualcosa da centellinare con la giusta calma.

E così mentre il pensier mio andava annegandosi nell'immensità del cielo stellato sopra di me, cercando nell'iperuranio delle idee quello che potesse fare al caso mio, ho ricordato Talete che col naso all'insù cadde nella buca, causando l'ilarità della servetta. E mi è venuto in mente la presente situazione e l'olfatto di lei. In un lampo di consapevolezza ho capito, superando l'insegnamento kantiano, che per trovare la risposta dovevo indagare non in me, ma guardare a quello che era sotto di me (certo, a debita distanza). In un impeto di consapevolezza, gridando Eureka e ricomponendomi appena un poco, mi sono precipitato alla tastiera.

Quello che unisce l'essere umano, anzi forse l'universo intero dei senzienti, è la merda.

La merda, miei cari shakerati, è una livella.

domenica 18 agosto 2019

Addio Gimondi


"La vita è molto di più che una corsa in bicicletta"

Ivan Gotti, in una intervista in cui gli chiedevano che cosa avrebbe detto a Marco Pantani se avesse potuto parlargli a tanti anni di distanza dalla sua morte


Pochi sanno che il vostro Pukowski è andato in bici a livello amatoriale negli anni della sua giovinezza. Filava come un treno sulle salite e giù in discesa. Egli conosce il dolore delle salite cattive in cui si sente delle coltellate all'interno delle cosce e si corre come disperati per "accorciare l'agonia", volendo usare le parole del Pirata (ahi, come ci manchi!). 

Insomma il ciclismo entusiasma perché metafora della vita: tanta fatica e pochi traguardi raggiunti o tagliati da vincitore. Ecco perché adoro tutti i ciclisti. Apprezzo la loro fatica e abnegazione, la passione. 

Da tempo volevo scrivere un post che esaltasse le imprese di Vincenzo Nibali. È facile vincere quando sei una specie di superman: forte a cronometro, in volata, in salita, sul passo e capace di vincere in fuga. Parafrasando Thomas Alva Edison il ciclismo è per l'1% creatività e il 99% sudore. E allora evviva lo Squalo che moltiplica la percentuale di creatività, perché lui ha solo la sua resistenza, la tenacia, l'incrollabile carattere e la fantasia. È costretto ad arrivare da solo perché è fermo in volata, come si dice nel gergo. Significa che non ha scatto e con dei compagni di fuga non ha speranza di vittoria. La stessa mancanza di scatto talvolta lo penalizza in salita. Se vuole vincere deve demolire e staccare tutti con resistenza e carattere. Spesso commentatori (italiani) poco accorti ne misconoscono la grandezza, ma è un vizio esclusivo della maggior parte dei colleghi del Belpaese. Non basta solo vincere. Bisogna stracciare gli avversari, senza mai riconoscerne del tutto il valore.

Invece eccomi qui a celebrare un superman della bici.
Ciao Felice, eroe della mia fanciullezza.
Lui era precisamente uno di quelli capaci di vincere su tutti i terreni e in tutte le condizioni. Eppure, pur avendo vinto più di cento corse,  fu soprannominato, da certa stampa approssimativa (italiana), l'eterno secondo perché spesso veniva battuto da Merckx "il Cannibale", il quale ha vinto il doppio delle corse di Gimondi.
Qualche buontempone spesso si chiede come sarebbe stata la carriera di Felice Gimondi, se non avesse incontrato il Belga. Taluni si spingono ad affermare che sarebbe stato migliore di Coppi. Siccome al vostro Pukowski piace pensare al contrario, egli spesso si chiede quante corse avrebbe vinto il Cannibale se non ci fosse stato Felice... Eddy è la misura di Felice, ma senza Felice Eddy non sarebbe stato il grandissimo che è. 
Pukowski immagina quanti avrebbero detto che il Cannibale non avesse avuto avversari (tranquilli, non sono un illetterato e rammento Ocaña e De La Fuente, ma niente a che vedere con il nostro Gimondi).
Felice, nel volgere di un paio di anni, si accorse subito, e non ebbe mai remore nel dichiarare, che Eddy era il più forte, ma non per questo si dette mai per vinto. Sicché con la forza del carattere e l'indomita volontà, molto spesso, per vincere, dovette staccare e demolire il mito del ciclismo di tutti i tempi.
Addio Felice Gimondi, sarai per sempre nei cuori di tutti gli appassionati e possa per sempre tu correre felice nelle strade, nei circuiti e sulle piste celesti e che la fatica, per una volta, non ti sia insopportabile, ma piacevole come il vento in faccia di una discesa corsa in scioltezza.
Sappiamo tutti che giammai più ti staccherai.

sabato 8 giugno 2019

La controra



La controra è il regno del sole. Qualcuno in maniera riduttiva ritiene che essa rappresenti le ore più calde delle giornate estive nel Mezzogiorno d'Italia. In realtà la controra è un mito senza spazio né tempo.

Per parecchi di quelli della mia età attiene spesso a un divieto. Ragazzini in vacanza da impegni scolastici, eravamo desiderosi di giocare per le strade polverose, assolate dal calore bianco di un sole implacabile, quasi a perpendicolo. Era per noi l'ora più propizia, per noi picareschi guaglioni, padroni unici e ultimi della strada in cui siamo cresciuti. Eppure tanto spesso ci veniva opposto un rifiuto alla richiesta di uscire, giocare e godere. “È controra” - ci veniva detto. Questa frase assumeva dunque la perentorietà dell'ineluttabile destino alla sospensione di ogni attività in quelle ore dalla temperatura impossibile. Era pronunciata da tutti gli adulti con toni che non ammettevano repliche, al punto che i più fantasiosi di noi immaginavano un mostro che si aggirava per le strade di controra a mangiare i bambini. 

In realtà non c'era niente di mostruoso. Si sa che i bambini sono curiosi e, parecchi di noi, a onta di ogni ancestrale timore o abitudine, letteralmente scappavano di casa e assistevano alla gloria dispiegata del dio sole. La luce accecante donava un nuovo contorno alle cose e alle case. Lo spettacolo della vegetazione in rigoglio, illuminata in ogni minimo particolare, dava effetti tridimensionali e profondità stereoscopiche da videorama 3D a ogni paesaggio.

Fu in chissà quale controra, appoggiato di schiena a non so quale muro scalcinato e arroventato, la rivelazione che ogni pensiero, buono o cattivo, scompare con la faccia al sole in un bianco accecante, secca e va via, lasciandoti come un minerale fuso con il resto del mondo, inerte come una pietra, felice e inconsapevole come un oggetto ai primordi dell'universo. 

A ripensarci non riesco a capire come mi possa essere alzato di lì. Se c'è mai stato un momento in cui mi sono sentito in sintonia con l'universo fu in quegli istanti di arrendevole abbandono all'ordine delle cose, di cui la memoria dilata la durata. Talvolta avverto il rammarico di non essermi fuso nella calce bianca rattoppata della parete, gonfia di umidità, quale metafora delle nostre vite rappezzate e raccogliticce... Andò via presto anche il bianco della calce raccattata dalla maglietta.

Ma la controra non fu solo un'esperienza panica. Alla controra è legato il sudore e la felicità. Le interminabili partite di calcio, masochistiche esperienze in cui con la mia squadra credo di non essere mai riuscito a vincere. In compenso ho cementato amicizie durate qualche decennio, la qual cosa, in tempi instabili e imprevedibili come i nostri, è molto di più di quanto si possa aspettarci. La vita, la fortuna avversa o propizia, a seconda dei casi, ha provveduto a dividerci. 

Resta un luogo della memoria: le mete. Chiamavamo così, mutuando da un termine dialettale che designa i cumuli di sabbia giallastra sbiadita da costruzione, il posto spianato in cui costruivano dei condomini, caratterizzato da mucchi di sabbia usata dai cantieri. Il posto stesso era di un colore giallastro sbiadito, accentuato dalla luce spietata del sole. Era facile per noi inventare un campo di calcio; recuperavamo mattoni da qualche cantiere e con questi improvvisavamo dei simulacri di pali di porta. Facevamo a meno della traversa e spesso si misuravano a occhio i gol. Strano a dirsi non ricordo di troppe discussioni. Le partite erano improntate a un senso di lealtà che in realtà nessuno di noi ragazzini sciamanti e felici ha poi mai riscontrato in seguito, meno che meno nelle gare dei nostri nazionali pedatori.

Ma la controra riporta anche a fiumi di alcol e birra a diluvio di felici ubriaconi, che si disputavano all'ombra degli alberi della pineta, che allora era un boschetto, il gelido nettare giallo, che consolava dalla calura e placava l'arsura e gli affanni, durante epiche passatelle. Era uno spettacolo assistere ai lazzi e ai mottetti, ai corrosivi adagi sarcastici di questi uomini, per lo più con pancioni a forma di mappamondo, capaci di bere ettolitri di birra. Il dio Bacco, evidentemente riconoscente di tanta adorazione, è stato con loro benevolo. Parecchi di loro sono ancora in vita in tarda età, felici e beati. Qualcuno immagina che possano seppellire ancora molta altra gente.

La controra, insomma, è stata una palestra di vita. E di controra ci voglio morire. Che mi lascino vecchio appassire al sole della controra, come una foglia seccare, sgretolarmi e disperdermi al vento, contento, alla luce e alle vampe del sole d'estate.

Il Manifesto del Pensiero Shakerato



Viviamo tempi sbandati. La bussola gira all'impazzata: nessuna direzione segnata è sicura. Per molti una disgrazia, per altri un'opportunità, per pochi una condizione di vita.

Dopo il pensiero fondante e quello fondente, al latte o alla nocciola, il pensiero fondazionale e trilogico, il pensiero forte e quello debole- talmente debole che proprio non sta in piedi- il pensiero laterale, ma anche quello collaterale, il pensiero di destra, di sinistra e del centro (in medio stat virtus, appunto: autentico pensiero del c@770), il pensiero giudaico- cristiano- musulmano (che splendido ossimoro!), il pensiero ateo, quello liberale e libertino, il pensiero escatologico e scatologico, il pensiero dei paraculi buono per tutte le stagioni, penso- pure io!- che i tempi siano maturi per il vero frutto dell'albero della conoscenza. 

Dopo correnti filosofiche buone nemmeno a procurare il raffreddore, o atte neppure alla contrazione di una zampa di ranocchio, ma ossequiose sempre al Principe, eliminati i necessari distinguo, le sottigliezze che si rompono al solo alitare o a causa di una scoreggia nella galassia vicina, le seghe e le saghe mentali, lo sfilacciamento dell'io e del tu, ma anche dell'egli (non poteva certo esserci la caduta dell'ella- per definizione ella è e sempre sarà- la solita top...onomastica), superate le influenze del pensiero crepuscolare sul fare del mattino, varcate le soglie dei cancelli dell'accademia dei mangiatori di crusca, superate le colonne di Ercole di ogni tipo di logica, s'impone l'annuncio di una nuova era. 

Basta con i filosofi buoni per ogni stagione! Se non va bene il primo Filosofo, ci sarà sempre il secondo, il postumo o il postremo. Il bello dell'emettere nubi di filosofemi, sventagliate di verità rivelate è che trovi sempre qualcosa che fa al caso tuo. Mai nessuno che si faccia i casi suoi. Ognuno ha la ricetta pronta. Un po' di Marx qui, un tantino di Nietzsche là, un po' di Popper, agitare con decisione dopo averci sputato dentro -la saliva additivo segreto e collante naturale- e siete pronti a prenderlo dove il popper più dilata le porte della percezione/recezione. Dunque si pone la nascita di un nuovo soggetto pensante e oggetto pensato, qualsiasi cosa significhi.

È giunto il momento: sorge e risplende l'era del pensiero shakerato. Nato per caso, si propone, a differenza delle altre correnti filosofiche che riescono, al massimo, a confondere le idee, di non chiarire alcunché. In tempi di assoluto relativismo (o era di relativismo assoluto? o di assolutismo relativo? Boh! Fatto è che mi sento un po' shakerato...) è quanto di meglio si possa chiedere di questi tempi ad un qualunque pensiero.

Il pensiero shakerato, dunque, dicevamo. Esso prende le mosse dall'imposizione delle mani del suo guru assoluto (me stesso, penso sia ovvio) attorno al cranio dell'adepto novizio, con un movimento altalenante e ritmato. 

Ho pensato- mi arrischio sempre di più nel pericoloso esercizio- che possa essere un toccasana per la maggior parte degli individui. Male che vada potrebbe rimescolare le idee e/o procurare un torcicollo, ma sempre meglio dell'emicrania causata da qualsiasi altra dotta discettazione filosofica circa i massimi sistemi, di cui nessuno sa niente, ma attorno ai quali tutti si sentono in diritto di pontificare. 

Data l'importanza dell'innovazione circolano voci incontrollate sulla fisiognomica degli adepti. Chi li vorrebbe brachicefali per questioni di maneggevolezza, altri chiederebbero la dolicocefalia per la palese asimmetria, in direzione dello shakeramento, della materia grigia. I più smaliziati ritengano che basti essere succubi di qualche forma di media. Personalmente, penso, non riesco a togliermi il vizio, che vi ricada la maggior parte degli esseri umani.

Non resta che chiudere con una formula originale: pedanti shakerati di tutto il mondo, disunitevi!



Il Manifesto del Movimento

Il Manifesto del Pensiero Shakerato

Viviamo tempi sbandati. La bussola gira all'impazzata: nessuna direzione segnata è sicura. Per molti una disgrazia, per...